martedì 7 aprile 2009

Riflessioni sulla Settimana Santa dell'Archimandrita Marco 2


Grande e Santo Martedì: La parabola delle 10 vergini

I primi tre giorni della settimana santa sono caratterizzati ciascuno dal loro tema proprio, ben definito dal titolo e dalla memoria, ma ancor più da un tema comune dominante: le nozze di Dio con l'umanità.E' lo stesso tema della domenica precedente. Ma all'ingresso trionfale in Gerusalemme lo Sposo appare nella gloria, misteriosa e tutta diversa da qualunque grandezza mondana, di un momento profetico, che è come il preannuncio e il sacramento del suo ritorno glorioso e delle nozze pienamente consumate; ora invece la liturgia lo contempla mentre avanza per il sacrificio, per celebrare l'unione con la nuova Sion nel mistero pasquale della sua morte e della sua resurrezione.Il nuovo Adamo viene in Sion per subire le umiliazioni, i tormenti, la morte e infine per addormentarsi sulla croce nella sua morte vivificante.In questi tre giorni il tono delle celebrazioni è dato da due tropari: Idhù o Nymphìos érchete: Ecco lo sposo viene; e l'exapostilàrion: Ton Nymphona su vlepo: Vedo il tuo Talamo adorno.L'Icona canonica che dovrebbe essere esposta e venerata è quella del Cristo morto ma ritto nel sepolcro, dormiente il suo dolce sonno, sonno datore di vita come lo definiscono i S. Padri, col capo inchinato verso il suo costato trafitto da cui viene generata la nuova Eva: la Chiesa. Ecco lo sposo che viene nella notte della condizione umana. Beato quel servo che lo saprà riconoscere nel volto del bisognoso: affamato, assetato, nudo, forestiero, malato, carcerato. Lo sposo viene a riscattare quest'uomo e a illuminarlo con la sua luce. E' lo sposo paziente che alla fine si rivelerà giudice. Dinanzi a lui tutto sarà svelato e noi giudicheremo, senza pietà, noi stessi specchiandoci in Lui, nelle sue piaghe. Infatti la causa delle sue piaghe sono stati i nostri peccati (Is).E' lo sposo che ti indica che vuole sposarti e che ti indica anche il talamo dove tu devi consumare le sue nozze con lui: la croce, che domina alle sue spalle.L'invito evangelico alla vigilanza, sul quale ritornano con tanta insistenza gli uffici della settimana santa non é una virtù morale, é un modo di essere del cristiano. Il cristiano é colui che vigila anche se dorme.E' questo l'insegnamento che questa sera la liturgia ci pone dinnanzi con la parabola delle dieci vergini.Ieri ci ha fatto considerare il fatto del fico maledetto e seccato e la figura del patriarca Giuseppe.Nel fico maledetto la liturgia ci fa vedere la fine del vecchio Israele che non ha conosciuto il tempo in cui é stato visitato da Dio, ma possiamo anche scorgere la nostra situazione di sterilità che tanta pena fa a Colui che vuole farci fruttificare ma noi non glielo permettiamo.Gesù viene a cercare frutti dal fico perché ha fame; questa fame di Dio é un mistero profondo, che non può essere sorvolato. Gesù ha fame della salvezza di tutti, spiega Andrea di Creta nel Canone dell'apodhipnon di domenica sera. Anche S. Massimo il Confessore dà la stessa interpretazione nella sue opere: le Centurie Teologiche: "il Dio che brama la salvezza di tutti gli uomini ed ha fame della loro deificazione, fa inaridire la loro presunzione come il fico infecondo".Infatti la maledizione di Gesù colpisce proprio la pretesa dell'uomo di appropriarsi dei doni di Dio.Lo sposo si avvicina alla sua sposa e le chiede i frutti del suo amore, ma ella isterilita dalla vanità della vita non sa altro che dargli vanità, stupidità, apparenza, foglie in altre parole.Nella prospettiva ancora dominante della venuta dello sposo il martedì considera la parabola delle dieci vergini, che é l'oggetto principale della memoria del giorno, ma completandola e interpretandola alla luce degli interi capitoli 24 e 25 del vangelo di Matteo e dei misteri pasquali, che incominciano a compiersi, e dei quali il collegamento con i capitoli evangelici della fine e del giudizio accentua il carattere ultimo e ultimativo.E' ovvio in questo contesto il particolare rilievo dato al tema della vigilanza e della negligenza. Se la vigilanza cristiana, come abbiamo detto, si qualifica soprattutto nell'attesa del ritorno del Signore, in rapporto a lui, alla sua persona, al suo mistero; per contro la negligenza assume una gravità che si ingrandisce associata all'oblio litigi e all'ignoranza "àgnia".Queste tre passioni costituiscono una trilogia terribile e sono fonti di infinite altre.Il loro primo effetto consiste di fatto nel separare l'uomo da Dio e quindi nell'esporlo ad essere facile preda di qualunque attacco del nemico.La visione biblica della vita, che i Padri e la liturgia hanno ereditato, é una visione di lotta: l'uomo é posto continuamente di fronte ad una scelta radicale tra Dio e il demonio, tra Dio e io nulla, scelta ami risolta su questa terra in modo definitivo. La negligenza, la rathimia, si pone come un'alternativa illusoria a questa scelta, allenta la tensione e il combattimento e porta inevitabilmente alla rovina.Così é accaduto ai progenitori nel paradiso. L'ordine di Dio allora come ora é quello di stare in guardia, vigilare, combattere. I Progenitori non hanno combattuto e il demonio li ha vinti.La liturgia ci ricorda che ora é il tempo della lotta, che l'olio delle lampade si deve acquistare sulla terra, perché poi, al tempo delle retribuzioni, non potremo più andarne in cerca.Ripetendo un'idea forte della liturgia e del pensiero patristico, il teologo Nicola Cavasilas, insiste nell'affermare che l'officina in cui si fabbrica la vita in Cristo e la beatitudine futura é la vita presente e che di là non potremo vivere di questa vita, se fin d'ora non avremo cominciato a gustarla.

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