sabato 30 maggio 2009

Riflessione dell'Archimandrita Marco sulla Pentecoste



Riflessioni sulla Pentecoste


Ontologicamente e liturgicamente, la Pentecoste chiude il ciclo pasquale per inaugurare l'economia ecclesiale. Essa è un compimento: quello della promessa, fatta dal Figlio, di mandare da presso il Padre "un altro Consolatore", quando sarebbe stato glorificato nella Santa Trinità. La Pentecoste è anche un inizio: quello della comprensione del mistero di Cristo.
La presenza di Cristo fra gli uomini, sulla terra, si è chiusa con la sua Ascensione; perciò il suo tempo storico, durante il quale aveva annunciato il Regno, è giunto alla fine. "Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra di voi" (Gv 14,25). Adesso comincia un'altra fase della Rivelazione.
"Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto"(Gv 14,26).
Vediamo perciò due aspetti della festa:

iniziazione all'insegnamento di Cristo (funzione didascalica o pedagogica)
risveglio del ricordo (funzione mnemonica o tradizionale).
Si tratta di renderci consapevoli del contenuto e della portata del Vangelo. Il libro degli Atti, le Lettere apostoliche, non faranno nient'altro che questo.
Il lavoro dei Padri, dei Santi, degli Asceti, dei teologi posteriori, avrà lo stesso scopo. Ora, il contenuto dell'Evangelo si riferisce alla vita; la sua portata mira all'eternità. "Le parole che vi ha detto sono spirito e vita" (Gv 6,63). Perciò la discesa dello Spirito di verità e del Datore di vita nella Pentecoste non è soltanto un fatto, conclusivo ed iniziale insieme, ma è anche qualcosa di permanente. Non si effettua una volta per sempre, ma continua. Non è soltanto un evento che è accaduto in un certo luogo, nell'anno tale e nel mese tale: è ancora (e soprattutto, oserei dire) una realtà costante, da cui dipende sostanzialmente l'esistenza stessa della Chiesa nei secoli. A questo duplice titolo, essa è la festa iniziatica per eccellenza.
"Il Signore ci ha dato il cibo perfetto della nostra natura, lo Spirito Santo, in cui è la vita. E' questo il tema fondamentale della festa" così proclama San Gregorio Nisseno nell'omelia sulla Pentecoste.
La discesa singolare dello Spirito a Gerusalemme, sui discepoli e sui fratelli, è anche l'irradiamento continuo che comunica ai loro discendenti la vita, il soffio, il movimento e l'essere e che fa di essi stirpe di Dio (cfr At 17,25.28), perché Dio si è fatto uomo, partecipando, all'umanità nostra, la sua divinità.
La Pentecoste, in un certo senso, giustifica la Creazione e l'Incarnazione. Come lo Spirito era all'inizio della Genesi, così è stato mediante lo Spirito che la Vergine ha concepito il Cristo. Se il Verbo ha preso carne, mentre è l'uno della Trinità, è perché, secondo il disegno della Sapienza di Dio, i figli adottivi siano resi capaci di essere partecipi dello Spirito del Figlio, che procede dal Padre.
Il soffio iniziale che ne aveva fatte delle persone viventi, le pneumatizza anche perché diventino membra del corpo del Cristo e veicoli dello Spirito.
Così diventano santi, per essere i testimoni della verità del mistero pasquale nel mondo; saranno partecipi e agenti, con gli angeli, della gloria cosmica del Regno. Intanto sono iniziati e ricevono il potere di insegnare. A partire dalla Pentecoste, la tradizione ( come par dhosis = consegna ) della Chiesa comincia a vivere.
Le manifestazioni uniche di Dio Figlio sono come folgori nella storia, senza precedenti. La loro conseguenza, però, è quella diffusione del fuoco inestinguibile che battezza e dell'acqua inesauribile che vivifica (cfr Mt 3,11 e Lc 3,16), fino alla fine dei tempi, quando brucerà la zizzania e la pula della mietitura: quella sarà la seconda Pentecoste, il tempo della parusia del Cristo sulla terra, in cui lo Spirito sarà quel fuoco di cui il Figlio desidera tanto il decisivo ardore (cfr Lc 12,49).
La festa che ci prepariamo a celebrare, è invece la festa delle primizie della mietitura, il cui Archetipo e lo stesso Cristo risorto (cfr Col 1,18); sono le primizie della vita che rimane, non del giudizio che consuma.
Questo carattere permanente della Pentecoste è sentito profondamente dalla coscienza della Chiesa, come lo esprimono i Padri e i Dottori.
Origene ad esempio afferma che: "E' sempre nei giorni della Pentecoste colui che può dire in verità: "Siamo risorti con Cristo", e anche: "con lui ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (cfr Col 3,1; Ef 2,6)". Più di un secolo dopo, gli farà eco San Giovanni Crisostomo:
"Il Cristo ha detto dello Spirito Santo che egli rimarrà con voi nei secoli, così noi possiamo sempre celebrare la Pentecoste".
Analizziamo ora alcune espressioni che troviamo nel testo lucano e che ci aiutano a considerare il mistero nella nostra meditazione.
Gli Atti dicono che i discepoli " ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi...salirono al piano superiore... Tutti erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù e con i parenti di lui" (At 1,12-14).
Ecco qui alcune condizioni caratteristiche fondamentali dell'essere Chiesa e comunità: salire al piano superiore, la concordia e la preghiera, lo stare insieme con Maria e con i fratelli nella fede.
La Sacra Scrittura vi insiste. Nel momento in cui sta per terminare l'attesa pentecostale, perché compiuta, la prima assemblea cristiana: Maria, gli Apostoli, i parenti, le donne, circa 120 persone, si ritrovano insieme in comunità liturgica (fede e preghiera) e in istanza di epiclesi.
La Parusia dello Spirito Santo farà di questa assemblea la Chiesa.
Per partecipare dello Spirito Santo bisogna salire al piano superiore. Si tratta nel testo lucano di una stanza in alto, ma nell'ottica mistica in cui ci poniamo, possiamo vedere in questa stanza al piano superiore, l'abbandono di ogni sicurezza umana e di ogni nostra presunzione. Ma anche la necessità dell'ascesi e della penitenza per ottenere sempre più il dono dello Spirito Santo.
Lo Spirito è dono che scende e si posa sul simile: il Cristo, e quindi anche sul cristiano, perché questi, grazie all'iniziazione, è reso conforme all'immagine del Figlio. Sappiamo che questa conformità non è giunta alla pienezza, ma che ogni momento essa cresce in noi o che per nostra colpe diminuisce, siamo dunque invitati a lasciare, anzi, a crocifiggere, come afferma Paolo, quella parte di noi stessi: impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere, che non ci fanno ereditare il Regno di Dio. Noi che siamo di Cristo, siamo chiamati a crocifiggere la nostra carne con i suoi desideri, per poter vivere dei frutti dello Spirito che sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di s‚ (cfr Gal 5,19,24).
Essere poi assidui e concordi nella preghiera. Ciò significa che lo Spirito non può effondersi se non in un contesto di unione fraterna e di assidua preghiera. La preghiera è la condizione del cristiano. Il cristiano, se tale è, non può non avere un colloquio continuo con colui che tutto gli dona, deve essere in continua adorazione, contemplazione. Mi piacere definire il cristiano, come colui che è sempre in estasi. Ma non basta questo genere di preghiera, bisogna che il cristiano sia concorde con gli altri fratelli. Lo Spirito forma la Chiesa, e il cristiano dentro la comunità.
E infine con Maria. Abbiamo iniziato le nostre meditazioni con Maria. Essa è stata l'oggetto del nostro parlare all'inizio, ed essa lo è anche alla fine.
Ella è la maestra, ma anche la discepola che ha raggiunto quello che noi ci sforziamo di raggiungere giorno dopo giorno. E' l'esemplare unico, la totalmente assimilata al Figlio grazie, appunto, all'opera dello Spirito Santo.
Maria Vergine, non è solo la santificata dallo Spirito, essa è anche la prima Pneumat¢phora, cioè la portatrice dello Spirito. Nel brano della visitazione, Luca ci narra questa realtà. Appena la voce della Vergine giunge ad Elisabetta, il bambino salta di gioia nel suo seno, ed Elisabetta è piena di Spirito Santo. Dove c'è Maria, li c'è anche lo Spirito, e dove si reca Maria, lì porta la gioia, perché lo Spirito Santo è la Spirito della gioia.
Maria risalta nella prima Chiesa quale filigrana preziosa di essa, parte integrante del mistero della Chiesa e parte necessaria.
La Chiesa che secondo il Signore accetta di essere senza macchie, né rughe, né alcunché di simile, che accetta di comparire e presentarsi al suo Signore gloriosa, santa ed immacolata, deve guardare intensamente, con fede, speranza ed amore, e con fiducia a Maria Vergine, Madre di Dio, modello perfetto, compiuto, di quanto la Chiesa si avvia ad essere, e vuole essere.
La gioia e la gloria della Madre di Dio sono piene quando anche noi accetteremo, come lei, di essere pieni dello Spirito Santo.
Nello Spirito il Cielo si unisce alla terra, come in Maria poté operare nello Spirito il Verbo, che facendosi carne unì in sé il Cielo eterno con la terra che perisce, trasformando, sempre per mezzo dello Spirito, questa nostra povertà in immortale ricchezza.
Noi siamo destinati alla Gloria, a Dio. Dio è il sovrano augusto e maestoso, che non rinuncia mai, non può rinunciare mai ad alcun suddito del suo regno universale.
Voglio finire con uno stupendo brano tratto dalla letteratura patristica sullo Spirito Santo:
" Lo Spirito è quello in cui noi adoriamo, e mediante il quale noi preghiamo". "Dio è Spirito - dice la Scrittura - , e quanti lo adorano, debbono adorarlo nello Spirito e nella Verità" (Gv 4,23,24). E di nuovo: "Quanto e come noi preghiamo, come si deve, cioè secondo la volontà divina, noi non lo sappiamo. Ma lo stesso Spirito sopravviene ad intercedere per noi con gemiti indicibili" (Rm 8,26), e: "Io pregherò nello Spirito e pregherò anche con la mente" (1 Cor 14,15), ossia con l'intelligenza e con lo Spirito. Dunque, "adorare lo Spirito o pregarlo, appare a me che null'altro sia, se non che Egli presenta a se stesso la preghiera e l'adorazione " (S.Gregorio Nazianzeno).

Archimandrita Marco

Nessun commento:

Posta un commento