lunedì 30 giugno 2014

                                                          1 LUGLIO  
                      MEMORIA DEI SANTI MEDICI ANARGIRI                        
                                 

Vita dei Santi Cosma e Damiano

Poco si conosce con certezza della vita dei santi Cosma e Damiano, che per la loro professione sono stati dichiarati protettori di medici, chirurghi, dentisti, farmacisti, ospedali e barbieri (i quali, nel Medioevo, praticavano la cosiddetta "medicina minore"), oltre a essere i patroni della Boemia.

Lo scritto agiografico più antico risale al vescovo Teodoreto - che resse dal 440 al 458 la città episcopale di Ciro (o Kyros), importante centro commerciale della Siria - dove si apprende che i santi nacquero in Arabia nella seconda metà del III secolo ed erano fratelli.
A questo proposito, taluni studiosi, vedendo in loro la rivisitazione cristiana del mito dei Dioscuri (Castore e Polluce), hanno alimentato la credenza che i santi fossero gemelli, ma nessuna fonte lo conferma, così come nemmeno si sa se fossero davvero fratelli o se Teodoreto intendesse, con questo termine, indicare che erano "fratelli di Cristo", tanto più che - come si vedrà - anche le tre persone che subirono il martirio assieme a Cosma e Damiano sono indicati come "fratelli". Del resto, tutta la vita dei santi sembra essere basata sulle tradizioni pagane - non solo Castore e Polluce, ma anche il dio Asclepio (Esculapio in latino), Iside e Serapide, che guarivano anch'essi gratuitamente - tanto da far supporre un'accorta regia da parte della Chiesa, preoccupata di cristianizzare leggende troppo radicate per essere cancellate senza traumi.
  La tradizione afferma che Cosma e Damiano erano figli di cristiani: il padre, convertitosi poco tempo dopo la loro nascita, morì durante una persecuzione in Cilicia; la madre, Teodota (o Teodora), da più tempo cristiana, si occupò della loro prima educazione.
Dopo aver imparato in Siria, le scienze mediche, i fratelli esercitarono la professione nelle città di Egea, in Cilicia, e a Ciro: Teodoreto scrisse che essi cacciavano «tutte le infermitadi, non solamente da gli uomini, ma eziandio da le bestie, facendo tutto in dono». Infatti, Cosma e Damiano curavano qualunque malattia (in particolar modo, pare, ai reni, alla gola, peste e idropisia) senza chiedere né denaro né beni in cambio. Ciò valse loro l'appellativo di "anargiri" (privi di denaro) con cui sono passati alla storia: un comportamento, questo, che corrispondeva a un'esortazione di Esculapio
(«Darete delle cure gratuitamente, se c'è da soccorrere un povero o uno straniero, perché dove c'è l'amore degli uomini c'è l'amore dell'arte») consona all'insegnamento cristiano. Alcuni testi non storicamente fondati accennano a un farmaco di loro invenzione, l'Epopira, ma la Chiesa preferisce sottolineare che i fratelli guarivano sì il corpo, ma soprattutto l'anima, perché essi agivano invocando il nome vivificante di Cristo e con la predicazione del Vangelo. I malati trovavano così guarigione e conforto e, se pagani, si convertivano al cristianesimo.
Tra gli interventi di Cosma e Damiano, il Sinassario della Chiesa di Costantinopoli ricorda la guarigione dell'emorroissa Palladia, una donna che, in segno di ringraziamento, volle ricompensarli con tre uova. Ricevuto un netto rifiuto, la donna insistette, scongiurandoli di prendere quel piccolo dono in nome di Cristo e Damiano, di nascosto dal fratello, accettò l'offerta per non essere scortese con Palladia e per non dare l'impressione di spregiare il nome di Cristo. Saputo l'accaduto, Cosma rimproverò aspramente Damiano e - così racconta la tradizione - ordinò ai seguaci che, quando fosse giunta l'ora, non venissero sepolti accanto.

Durante l'impero di Diocleziano, in esecuzione all'editto del 23 febbraio 303 e su ordine di Lisia, prefetto romano in Cilicia, Cosma e Damiano furono arrestati con l'accusa di perturbare l'ordine pubblico e di professare una fede religiosa vietata. Invitati ad abiurare per aver salva la vita, i fratelli rifiutarono e furono condannati a torture così atroci che su alcuni martirologi è scritto che essi furono «martiri cinque volte».
Qualche testo indica erroneamente il 287 come l'anno del loro martirio.

Pur rispettando la regola dell'essere stati «martiri cinque volte», la successione e il tipo di supplizi subiti da Cosma e Damiano differiscono secondo le fonti.
Furono lapidati ma le pietre rimbalzavano contro i soldati. Furono crudelmente fustigati (tortura tanto dolorosa che era proibita nei confronti dei cittadini romani) o, secondo altri racconti, furono crocefissi e bersagliati dai dardi di quattro cavalieri, ma le lance rimbalzavano senza riuscire a far loro alcun male. Furono gettati in mare da un alto dirupo con un macigno appeso al collo, ma, miracolosamente, i legacci si sciolsero e i fratelli riafforarono accolti a riva dai fedeli festanti e inneggianti Dio. Di nuovo arrestati, furono incatenati e messi in una fornace ardente, ma il fuoco non li lambì. Cosma e Damiano vennero infine decapitati, secondo l'uso riservato ai romani, assieme ai discepoli, che si chiamavano Antimo, Leonzio ed Eupreprio, come indicato in una Passio araba.

I fedeli portarono i corpi a Ciro, la città in cui i santi avevano esercitato la medicina, ma ricordando l'ordine di Cosma - di non essere sepolto vicino al fratello - e non sapendo che Cosma aveva visto in sogno Dio che gli ordinava di perdonare Damiano, i fedeli si apprestarono a preparare due sepolcri. In quel momento, apparve un cammello che, con voce umana, gridò loro di riunire i fratelli, perché il loro merito era stato uguale («Nolite eos separare a sepoltura, quia non sunt separati a merito») in quanto Damiano aveva accettato l'offerta di Palladia per non umiliarla, non certo per essere pagato.
Sulla loro tomba fu eretta una grande chiesa, che divenne meta di pellegrinaggio. Qui, nella seconda metà del VI secolo, come ha lasciato scritto Procopio di Cesarea, si recò l'imperatore Giustiniano - il restauratore dell'impero romano d'Oriente - per ringraziare i santi fratelli della guarigione da una grave malattia e, in segno di riconoscenza, fece ampliare la chiesa e ordinò la fortificazione della città.

Interventi miracolosi, che a volte arricchiscono l'iconografia - quasi esclusivamente occidentale - che riguarda Cosma e Damiano, sono dedotti dalla Legenda aurea scritta da Jacopo da Varazze nel 1255, una specie di summa delle credenze sulle vite dei santi che circolavano nel Medioevo, e altri testi manoscritti che la ricalcano. Tali credenze, pur essendo spesso fantasiose, assumono connotazioni interessanti per lo studio delle tradizioni e per l'agiologia.
Avvenuto dopo la morte dei santi anargiri è il miracolo della fuoriuscita di un serpente introdottosi nella gola di un contadino appisolato, che dopo alcune ore, quando i dolori si fecero lancinanti, si recò nella chiesa dedicata a Cosma e Damiano per invocare la loro intercessione e dopo poco si addormentò: il serpente uscì vivo dal suo stomaco.
Un altro famoso miracolo è il trapianto di una gamba di un etiope di pelle scura su un malato di pelle chiara sotto l'occhio vigile degli angeli. Il malato (che si racconta essere il sacrestano della prima basilica romana dedicata ai santi), risvegliatosi guarito, prese a saltellare sul letto e la gente, stupefatta, corse al cimitero di San Pietro in Vincoli a vedere il donatore morto, che riposava in pace con... una gamba nera e una, visibilmente malata, bianca.

Il culto dei santi Cosma e Damiano si diffuse in seguito all'intensificarsi degli scambi commerciali tra Oriente e Occidente. A Roma, papa Simmaco (498-515) fece erigere in loro onore una cappella vicino alla basilica di Santa Maria Maggiore e papa Felice IV (525-530) dispose la traslazione delle loro reliquie (528) e la realizzazione di una basilica, ancora oggi esistente nel Foro romano, ricavata in un complesso civico donato al papa dalla figlia di Teodorico, Amalasunta, regina dei Goti: era la prima chiesa cristiana nel centro di Roma. Nel suo catino absidale si può ancora ammirare il grande mosaico dell'epoca di Felice IV, raffigurante un maestoso Cristo su un tappeto di nuvole rosa e celesti, cui gli apostoli Pietro e Paolo (di maggiori dimensioni e posti ai lati del Salvatore) presentano, rispettivamente, i santi Cosma e Damiano - con i simboli specifici del martirio e del mestiere - accompagnati, all'esterno, dal soldato san Teodoro (fino al IX secolo unico martire militare universalmente venerato e considerato patrono dell'esercito bizantino) e da papa Felice IV con in mano il modello della chiesa. E' da notare come le grandi figure siano rappresentate con movenze, nella persona e nelle vesti, che riportano ai canoni artistici tardoromani, e si staglino su un fondo di colore blu cobalto, al contrario dell'astrazione simbolica e del fondo oro che caratterizzano i mosaici bizantini di poco successivi e visibili nella stessa basilica, nell'arcone absidale.
Infine, papa Gregorio Magno (590-604) collocò i resti di Cosma, Damiano e dei tre compagni di martirio nel pozzetto dell'antico altare situato nella cripta. Una ricognizione effettuata il 24 maggio 1924 per ordine di papa Pio XI trovò le ossa dei martiri, che furono collocate in una nuova urna, e una cassetta d'argento contenente le reliquie dell'apostolo Matteo, fatto che conferma la particolare devozione riservata a Cosma e Damiano fin dai tempi antichi, considerati importanti quasi quanto gli apostoli.
A partire dal V secolo, in Oriente sorsero numerose chiese dedicate ai santi Cosma e Damiano o in onor loro furono decorate: a Costantinopoli, in Scizia, in Cappadocia, in Panfilia, a Salonicco, a Gerusalemme, a Edessa. Dal X al XIII secolo, il culto si diffuse anche in Bulgaria, in Romania e nelle regioni bizantine dell'Italia meridionale.
La più famosa è la basilica di Costantinopoli, proclamata santuario nazionale, presso cui accorrevano i malati per chiedere l'intervento risanatore. Si tramanda che in questa chiesa si svolgesse il "rito dell'incubazione": durante la notte, mentre i fedeli pregavano, i malati si addormentavano sui giacigli posti lungo le navate della chiesa. Durante il sonno, i santi apparivano e operavano o praticavano le cure necessarie alla guarigione.

I nomi di Cosma e Damiano furono gli ultimi inseriti nel canone della Messa Tridentina e, se in Occidente si celebrano il 26 settembre (una volta era il 27) considerato il giorno della dedizione della basilica romana; in Oriente la loro festa liturgica avviene in tre giorni diversi: il primo luglio, il 17 ottobre e il primo novembre.
La Chiesa orientale, infatti venera tre coppie di santi "poveri" dallo stesso nome e con la stessa professione, ripresi anche nell'Ermeneutica della pittura di Dionisio da Furnà, che riporta i modelli iconografici athoniti:
- Cosma e Damiano di Roma, giovani dalla barba appuntita, festa 1 luglio. Questi sono citati da Dionisio anche nel menologio di luglio con queste parole: "I santi poveri Cosma e Damiano sono lapidati su un monte dal loro maestro. Con la prima barba; il loro maestro, vecchio";
- Cosma e Damiano d'Asia, giovani con la prima barba, 1 novembre;
- Cosma e Damiano d'Arabia, neri, con la prima barba e con dei fazzoletti avvolti (senza data).
Nessuna fonte storica, tuttavia, avvalora l'ipotesi dell'esistenza di tre coppie omonime di santi e, anzi, gli studiosi contemporanei sono assolutamente convinti di un'unica identità: la particolarità delle tre feste (o dei sei santi) sarebbe da far risalire alle diverse fonti da cui hanno tratto origine, cioè i martirologi latini, i sinassari bizantini, la Passio araba. La straordinaria diffusione del culto dei santi Cosma e Damiano li ha poi... moltiplicati.

Nell'iconografia che ritrae i santi in Oriente - per intero, di fronte e vestiti con due chiton, uno lungo e uno corto, e un mantello - a volte Cosma è rappresentato con la barba, così che l'imberbe Damiano appare più giovane (fatto che escluderebbe la tesi secondo cui erano gemelli). Spesso sono rappresentati con in mano la palma, simbolo del martirio, e gli scrigni tipici dei medici, contenenti gli strumenti chirurgici o le medicine.

In Occidente, almeno fino a tutto il XIV secolo, i santi furono raffigurati in qualità di medici: a figura intera, con le mani celate dal mantello, mentre ricevevano dal Signore il cofanetto contenente gli strumenti chirurgici. L'illustrazione delle prodigiose guarigioni e delle scene del martirio comparirono infatti durante il Rinascimento fiorentino, quando la famiglia dei Medici (che, per il cognome, aveva eletto come propri patroni i santi anargiri), nella persona di Cosimo (= Cosma) il Vecchio, commissionò al Beato Angelico la Pala di San Vincenzo di Annalena e quella di San Marco, nelle quali il pittore rappresentò una ventina di episodi della vita dei santi, compreso il martirio.

Il nome Cosma deriva dal greco cosmos, che significa ordine o sistema dotato di una struttura e regolato da leggi precise, e il santo fu un modello per gli altri con il suo esempio di virtù.
Il nome Damiano può derivare da daino, animale timido e dolce, o da dogma, ossia dottrina, e da ana, in alto, o ancora da damum, sacrificio, o ancora può voler dire “le mani del Signore”: san Damiano fu infatti una figura molto dolce, che possedeva la dottrina del cielo nelle sue predicazioni, che per mezzo della mano del Signore curò la gente e che sacrificò il proprio corpo.

Jacopo da Varazze, Legenda aurea CXLIII
Leggenda dei Santi Cosma e Damiano dal Codice Magliabechiano








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1˚ LUGLIO 2014
    Memoria dei santi anárgiri e taumaturghi Cosma e Damiano,         martirizzati a Roma (sotto Carino, 283-285).
 

VESPRO Tono pl. 2. Aftómelon. Riposta nei cieli tutta la speranza, * i santi si sono messi in serbo * un tesoro inviolabile: * gratuitamente hanno ricevuto, * gratuitamente danno ai malati le guari¬gioni˚; * non hanno posseduto né oro né argento, * con¬forme al vangelo˚; * hanno fatto partecipi uomini e bestie * dei loro benefici * per divenire perfettamente ubbidienti a Cristo * e poter cosí intercedere con fran¬chezza * per le anime nostre.
Hanno disprezzato la materia * che si corrompe sulla terra, * e, vivendo nella carne, * sono divenuti citta¬dini del cielo come angeli, * i due compagni di uguale sentire, * la coppia dei santi * di uguali costumi e di un’anima sola. * Per questo accordano a tutti i malati le guarigioni, * offrendo gratuitamente il benefi¬cio * a chi ne ha bisogno: * celebriamoli degnamente nelle loro feste annuali, * perché essi inter¬cedono con franchezza * per le anime nostre.
Essendosi resi dimora della Triade * in tutta la sua pienezza, * Cosma e Damiano di mente divina, * la coppia cele¬brata, * come fonti fanno scaturire * i flutti delle guarigioni da sorgente apportatrice di vita; * le loro stesse reli¬quie * al toccarle guariscono i mali: * e i loro soli nomi * scac¬ciano le malattie dai mortali. * Causa di salvezza * per tutti quelli che in loro si rifu¬giano, * essi interce¬dono presso Cristo con franchezza * per le anime nostre.
Gloria. Tono pl. 2. Di Anatolio.
Eterna è la grazia dei santi * ricevuta da Cristo: * per questo anche le loro reliquie * per divina potenza * sono sempre operanti con i prodigi; * i loro soli nomi, invocati con fede, * fanno cessare inguaribili dolori: * grazie a loro, o Signore, * libera anche noi dalle passio¬ni * dell’anima e del corpo, * nel tuo amore per gli uomini.
Ora e sempre. Theotokíon.
Chi non ti dirà beata, o Vergine tutta santa?˚ * Chi non celebrerà il tuo parto verginale? * Perché l’Unigenito Figlio che intemporalmente dal Padre è rifulso, * egli stesso, ineffabilmente incarnato, * è uscito da te, la pura: * Dio per natura e per noi fatto uomo per natu¬ra˚, * non diviso in dualità di persone, * ma da ricono¬scersi * in dualità di nature, senza confusione47 . * Imploralo, augu¬sta beatissima, * perché sia fatta miseri¬cordia alle anime nostre.
Ingresso, Luce gioiosa e il prokímenon del giorno.
Se si vuole solennizzare, si leggono le letture dei martiri (v. al 27 di questo stesso mese, p. 814).
Allo stico, stichirá dall’októichos.
Volendo, gli stichirá prosómia dei santi.
Tono 1. Esultanza delle schiere celesti.
Nella memoria degli anárgiri, * accorriamo tutti insieme con cuore puro * e coscienza senza macchia, * ad essi insieme acclaman¬do: * Gioite, o due compagni * che siete guarigione dei malati, * perché da Dio avete ricevuto * la facoltà di guarire.
Stico: Per i santi che sono nella sua terra, il Signore ha reso mirabili, in loro, tutte le sue volontà.
Avendo perfettamente osservato * i comandamenti del Signore, * e reciso con grande sapienza * il morbo dell’ava¬rizia, * voi curate gratuitamente: * è dunque dovere per noi, o taumaturghi, * onorare la vostra venerabilissima dormizio¬ne. * Pregate per la nostra salvezza.
Stico: Ecco, che cosa è bello o che cosa dà gioia, se non l’abitare dei fratelli insieme?
Poiché avete ottenuto da parte dell’unico Dio * piena facoltà di usare misericordia e salvare, * liberate da ogni specie di pericoli * quanti con fede vi celebra¬no, * o anárgi¬ri teòfori, * liberateli dai mali, dai pericoli e dalle tentazioni * sia dell’anima che del corpo.
Gloria. Tono pl. 2.
Avendo sempre Cristo operante in voi, * o santi anárgiri, * fate meraviglie nel mondo, * con le vostre cure ai malati. * La casa in cui curate è infatti come sorgen¬te inesauribile: * quando vi si attinge, * ancor piú trabocca; * fatta scorrere, sovrabbonda, * riversandosi e moltiplicandosi ogni giorno, * a tutti provvedendo senza venir meno; * quelli che vi attingono, * si saziano di guarigioni * ed essa permane inesausta. * Come vi chiameremo? * Medici che curano anime e corpi, * guari¬tori di mali inguaribili * che gratuitamente guariscono tutti * perché hanno ricevuto carismi dal Cristo Salvatore, * che ci elargisce la grande miseri¬cordia˚.
Ora e sempre. Theotokíon. Il terzo giorno sei risorto.
Non c’è in te conversione, * o anima impenitente: * perché tardi? * È vicino il taglio della morte, * e la fine arriva come un ladro: * corri alla Madre-di-Dio, * pròstrati a lei.
Apolytíkion. Tono pl. 4.
Santi anárgiri e taumaturghi, * visitateci nelle nostre infermità: * gratuitamente avete ricevuto, * gratuitamente date a noi˚.
Altro apolytíkion. Tono 4. Presto intervieni.
Quali divini guaritori * e medici dei mortali, * voi fate gratuitamente scaturire per noi * le vostre cure, * o anárgiri gloriosi: * liberate dunque da malattie * e infermità incurabili * quanti si mettono sotto la vostra augusta protezione, * o Cosma e Damiano, * germogli di Roma.
Gloria. Ora e sempre. Theotokíon.

sabato 28 giugno 2014




                                                   29 Korikut 2014
                    Mbretesoria per kujtimi i S.Pietrin e Palin, 


Stihjrà


Zë.i 2. Me çë kurorë lëvdìsh do t’kurorëzojëm Pjetrin e Palin, të ndajtur në kurm, po të bashkuarë në shpirt, kryetarë e Ligjëronjësëvet të Perëndìshëm, njerin çë ë i Pari i Apostojvet, Jetrin çë më shumë se tjerët shërbeu. Ata, vërteta, dha i ka kurorëzuar si nget Krishti me dhiadheme lëvdije të pasosme, Krishti Perëndia ynë, çë ka të madhe lipisì.
Me çilët këndime të bukur mëndë të hymnojëm Pietrin e Palin? Ata janë krahët të njohjes e Perëndìs  çë fluturuan gjithë angonët e jetës e çë u lartësuan njera në qiell; duartë e Vangjellit të hirit;  këmbët e të vërtetës e të ligjiruarit; lumet e diejës; krahët e krykjies, pr’anë të çilëvet Krishti shtipi madhështìn e djejvet, Aì çë ka lipisì e madhe.
Me të çilat kënka shpirtullore ka t’lëvdojëm Pietrin e Palin?

Majët e të dreruashmes shpatë të Shpirtit çë vrasjën atheismin pa grisur, stolìt madhështore të Rromës, gëzimet e gjithë jetës;

 Drasat të menëçme e Dhjatës së re shkruar nga Perëndia, çë klen  ligjëruar në Sion nga Krishti i Madhi Lipisjar.

Lëvdì….zëri i 4.

Me tri pyejtje: Pietër, më do mirë ti? Krishti ndreqi mohimin të trihèrshëm të Pietrit. Prandai Simoni Atij çë njeh të fshehtitë mori e i tha: O i Madh’yn’Zot, ti njeh gjithëqish, ti ndëlgon gjithkjish. ti di se u të dua mirë. E për këtë Atij Shpëtuesi ju përgjegjë: Kullot delet time, kuloot grigjen time të sgledhurë, kullot kaciqët timë çë u bleva me gjakun tim sa t’i shpëtoja. O Apostull, i lumëruar nga Perëndia, lutju Atij sa të na ket të madhe lipisì.








Nanì…
Profiti Davidhi çë paj tënd u bë gjyshi i Perëndis, çë më para këndoi  me melodhi madhërit çë u bën tek ti: rri mbretëresha tek e drejta jote. Tij Perëndia të dëftoi si Mëma e gjellës  se deshi të bënej njeri pa at ngak ti, sa të përtërij me vuajtje fytyrën e tij të prishur nga epshet e të sillëj prindit delen e gjëndur nëpër malevet tue e ngarkuar mbi krahët e t’e bashkoj me Fuqit e qiellit e kështu të shpëtoj, Mëma e Perëndis, jetën, tue pasur Krishti të mëdha e të pasura lipisi.

Pjesë nga e Para Letër e Shën Pjetrit 1,3-9.
Bekuar Perëndia e Atii t’yn’Zoti Jisu Krishtit, i çili tek e madhia lipisì e tij, pr’anë të të Ngjallurit e Jisu’ Krishtit së vdekurish, na bëri të leheshëm te një shpresë e gjallë njëi trazhgimi i paprishëm, i pa-ngjollë, i pandërruashëm, ngrëjtur te qiellja për ju, çë pr’anë të besës jini ruajtur me fuqin e Perëndìs, për shpëtimin çë ka të dëftonet tek e sprasmja kohë.
Mbë këtë do t’gëzonij, megjithëse nanì do t’jini të lipismë për ngarie të mëdhà, sa provimi i besës t’jet shumë më e çmuame se ari, provonet me zjarr, të dëftonet i mirë të jet i kënduar, i lëvduar e i nderuar te sbulesa e Jisu Krishtit, të òilin ju pa njohur doni mirë, tek i çili tue pasur besë,pa par, do t’gëzonij me harè të parrëfieshme dhe të lëvduashme, tue pasur si mbarìm të besës t’ëj, shpëtimin e shpirtravet.

Piesë nga e Para Litrë e Shën Pietrit I, 13-19.

Andai rrethoni meset e mendies t’ëj, klofshit të esëlltë, paçit një shpresë e tërë mbi Dhuratën òë do t’ju jipet me sbulesën e Iisu’ Krishtit.
Si bij të të gjegjurit, mos veni prapa dishirimevet çë kishët më para kur ishët të paditurë, po ètsëniprapa Shejtit çë ju thërriti e ju vetë do të jini të shejtë te gjithë të siellurit t’aj, përçë ë shkruar: Klofshitshejtëra,përòë U jam i Shejti. E në ju thërrini at atë çë gjikòn, pa marrë anë njeriu, pas të bërit e nga-njeriu, rroni kjëroin e gjellës t’ëj me trëmbësirën e t’in’Zoti, tue dijtur se ngë klet shpërbler nga gjella e kotë – e si e patët lënë nga prindrat –me çmim çë prishët ‘rrgjëndi a ari, po me të paçëmuashmin Gjak të Krishtit, të Kjenkjit të pafaishëm e të papërliem.

Piesë nga e dijta litrë e Shën Pietrit II, 11-24.

Të dashur, ju lutem të sillij mbi dhet si të huaj e çë jini e shkoni; të rrini largu nga dishirimet e mishit çë luftojën kundra shpirtit. Paçit një sjellie e mirë në mes të pabesmëvet, sa, ndonse ju shpifiën si kekjëbërësë, të vën rè vepravet të mira çë ju bëni, t’i japiën lëvdì t’in’Zoti kur të vinjë. Të ujij kujdò parësie njerëzish të jet rregji çë ë sipër gjithëve, të jenë krietarët òë janë urdhuruar nga Aì të mundojën kekjëbëresit e të lëvdojën ata çë bëjën të mirën.
Se ki isht vullimi i t’in’zoti: sa ata çë bëjën të mirën të mbillëni gojën padijturìs e njerëzëvet të lënë. E si të lirë, mos t’i shërbenij lirìs sa të pështroni të kekjien, po si shërbëtorë të Perëndìs.
Bëni nder gjithëve, të duani mirë vëllezëritë, t’i trëmbij t’in’Zoti, të nderni rregjin.
Ju shërbëtorë, ujëni kriet të zotravet t’aj, jo vetëm të mirëvet e të butëvet, po edhè të shtrëmbërvet. Ki ë një shërbes çë pëlkjèn: një të duronjë hjidhërime paj t’in’Zoti, tue vajtur padrejtësisht.
Se çë farë lëvdì isht të durosh kur je rrahur për faj?
Prandai klet thritur, pse edhè Krishti vuajti për ne tue na lënë shembërë sa t’vejëm prapa gjurmëvet e ‘tij. “Aì ngë ka bër mëkatë; ngë u gjënd gënjim te goja e ‘Tij”.
I shajtur ngë përgjegjej me të shara ; duroj , po ngë kjërtoj ; lëhej te dora e Atij çë gjikon dëréjt .
Aì kjelli mëkatët t’ona te Kurmi i ‘Tij mbi drurin , sa na të vdisiëm mëkatëvet e të rrojëm me dërejtësì .
   apostiha  

Z.i 1.
Kush mëndë të rrëfienjë , o i lëvduashëm Apostull Pal , sa vuajte si kleve kjellur lidhur ? Kush mëndë të thet koposet , të lodhëtitë , të sbiérrit gjum, të lodhëtitë , të sbiérrit gjum , të vuajturit uriet dhe etiet , tëtimtë e të dçeshurit , shportën , shkupinjtë , gurët , të udhëtuarit , të humburit?
Ti kleve një pamie e famasëshme për Engjëjitë e për njerëzitë . Gjithkjish Ti durove me fukjìn e Krishtit çë të mfortsoj sa t’i fitoje Atij , Isuthit , të zotit t’ënt jetën .

Ms. 19. Te gjithe jeta dolli zëri i ‘tire ; te gjithë anët e Botës fialët e ‘tire .
Andai të lutemi , na çë të bëjëm haidhi kujtimit t’ënt ; të parkalésësh pa pushim sa të shpirtrat t’anë .
Kush mëndë të rrëfienjë , o i lëvduashim Apostull Pal , të lidhurit në kjitetet? Kush mëndë të thet luftimet e koposet çë riejte për Vangjejin e Krishtit sa të fitoje gjithënjerì e t’i falie Klishën Krishtit? 
Parkalés Ti sa Këjo’ të ruanjë njera tek e sprasmia frimë mësimin t’ënt të bukur , o Pal Apostull e Mjeshtër i Klishëvet .
Kjielliat rrëfiejën lëvdì e Perëndìs ; të bëmat e duarëvet të ‘Tij lajmëron Dheu .Ms.18 .

Dritarët të mëdhenjë të Klishës estrin e Palin na sot madhërojëm .
Ata shkëlkjìen më shumë se dielli te hapësira e besës e kombet me rrëmpat e ligjëratës s’tire u pruarën nga padituria. Njeri , i gozhduar te Krikjia , mori dhromin për kjielliën kur pati nga Krishti vet kliçët e rregjërìs . Jetri , si pati prer kriet nga shpata , hiri si i ngisëj në lëvdì të Shpëtonjësit .
Të di kjërtuan Israelin se ngrëjtën duart e ‘tire paligjësisht kundra t’in’Zoti Vet. Andai për parkalesìt e ‘tire, o Krisht Perëndia jinë, muj ata çë na kundrështojën e mfortsò besën t’ënë orthodhokse, pse Ti na do mirë.
Levdì …    z; i 6

Sot dita e kremtie gazmore i shkëlkjén gjithë jetës. Kujtimi i lëvduashëm i të urtëvet Apostoj e Korifé Pietri e Pali. Andai Rroma bën haré. Edhé na me kënka e lëvdì le t’kremtojëm, o vëllezër këtë ditë e madhe e thomi: Na të falemi, o Pietër Apostull, Mik i ngusht i Mieshtrit t’ënt, Perëndia jinë. T’falemi, o Pal, shum’i dashuri Ligjëronjës i besës e mësonjësi i gjithë jetës. O ju të di, posa jini gjegjurë, lutij Krishtit Perëndì sa të shpëtonjë shpirtrat t’anë.

nanì … v.f. 64

apolitikjii

O parathronësitë e Apostojvet, e Mësonjësë të gjithë jetës, lutij ju të Madhit Zot të të gjithëve sa t’i dhuronjë pakjien jetës e shpirtravet t’anë të madhen lipisì.

kondakji: Ligjëronjësitë të pagabueshmë e të frimëzuarë nga in’Zot, të Parët e Apostojvet, o Zot, ti ke pritur në trazhgim të të miravet t’ote e në prëhie, pse mundiemet e mortia e ‘tire  të kanë pëlkjìer më mirë se çëdò dhuretì, o Ti i vetëm çë njeh të brënëtitë e zëmbravet.
 

mercoledì 18 giugno 2014

                   EPARCHIA DI PIANA DEGLI ALBANESI
                    XX Convegno ecclesiale  3 – 4 – 5 Luglio 2014
SINTESI divulgativa

Il Convegno che si svolge, nei giorni indicati, presso la Sede dell’Eparchia (Diocesi) di Piana degli Albanesi, comunità cattolica di tradizione liturgica orientale presente in Sicilia,
nei pressi di Palermo, ha lo scopo pastorale-culturale di individuare, quest’anno, alcuni  aspetti riguardanti la famiglia, tema particolarmente rilevante dal punto di vista socioreligioso.
Il Cardinale di Palermo, Paolo Romeo, attualmente Amministratore Apostolico pro tempore dell’Eparchia, il quale sarà presente al Convegno, lo ha approvato, su proposta della Commissione eparchiale, nei termini che seguono.

Il tema del Convegno è: "... a immagine di Dio lo creò" DIVINIZZAZIONE e CORONAZIONE
Attenzione pastorale, Prevenzione, Mediazione

 
Spunti teologico-pastorali ed ecumenici
Riflettiamo sull’itinerario che va dalla triplice Iniziazione cristiana (Battesimo– Cresima – Eucaristia) che ci fa riacquisire la divina immagine originaria, fino a giungere alla Coronazione nuziale (l’unione nuziale Cristo-Chiesa rappresentata e riprodotta nella famiglia, piccola Chiesa). L’uomo-donna “coronato”, dopo aver espresso la pienezza della sua gioia, anche fisica, nella celebrazione del Mistero sponsale, attraverso questo, è sempre meglio inserito, nonostante tutte le sofferenze della vita terrena, nella dinamica
beata e raggiante della “divinizzazione”.L’attenzione dedicata alla famiglia nel dialogo ecumenico nazionale e internazionale può essere di particolare aiuto nell’individuazione di temi e metodi
utili all’esercizio della mediazione familiare.
Spunti sociologico-culturali
I temi di riflessione applicativa sulla famiglia, che scandiranno le tre
giornate, saranno: “Attenzione pastorale”, “Prevenzione”, “Mediazione”.La giornata del 3 (coordinatore Papàs Piergiorgio Scalia) sarà dedicata all’Attenzione pastorale e alla Prevenzione, con una relazione sul primo tema da parte di Antonio Carcanella, Direttore dell’Ufficio della Conferenza Episcopale Siciliana per la famiglia, ed una relazione sul secondo tema da parte di
Tiziana Rizzo, Presidente dell’Istituto Nazionale di Mediazione Familiare e di Antonio Anzilotti, Avvocato specialista in mediazione familiare.
La giornata del 4 (coordinatore il Diacono Paolo Gionfriddo) sarà dedicata alla Mediazione, con una relazione di Andrea Palmieri, Sottosegretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani,
ed una relazione di Michele Riondino, Docente nella Pontificia Università Lateranense.
La mezza giornata del 5 (coordinatore Papàs Nicola Cuccia) sarà dedicata a qualche testimonianza significativa e alle relazioni sui Laboratori riguardanti i tre temi di riflessione applicativa.
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Nel corso delle prime due giornate saranno effettuati Laboratori applicativi di riflessione sulla famiglia, coordinati da qualificati membri dell’Eparchia: Francesco Flocca, Irene Gionfriddo e Anna Lunetta.
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NOTA
Un buon Convegno, per non rischiare di rimanere isolato, dovrà proporre iniziative concrete e continuative (che potrebbero scaturire anche dai Laboratori...,come Corsi di aggiornamento, Incontri, realizzazione di Strutture permanenti) sui contenuti e i metodi della Mediazione familiare, intesa, non soltanto come
Mediazione per dirimere gli eventuali conflitti, ma come informazione adeguata, educazione specifica, ricerca scientifica sulle problematiche sociali e cristiane riguardanti il fenomeno dell'immigrazione, il senso dell'accoglienza, la cultura della solidarietà, l'approccio socio-psico-logico verso famiglie provenienti da contesti culturali e religiosi diversi dai nostri, il ruolo della mediazione politica nei casi gravi di rischio della vita, il ruolo della mediazione religiosa in senso ecumenico e interreligioso.
Tutto questo potrebbe costituire, al di là di ogni attività all'insegna del provvisorio, un'azione permanente a vantaggio dei bisogni, talvolta estremi, dei diversi componenti la famiglia; un'azione permanente di dialogo proficuo fra le diverse famiglie; un'azione permanente di rafforzamento del significato dell'unità
sponsale e familiare all'interno della stessa famiglia.
Tutto questo sarebbe il risultato di un'opera di mediazione conoscitiva, mediazione educativa, mediazione conciliativa ed empatica in una realtà come la nostra che diventa sempre più multietnica e che, nel caso specifico, ci è, in qualche modo, connaturale per via della nostra presenza storica come Comunità italo-albanese
dalle connotazioni religiose ed etniche

giovedì 12 giugno 2014



12 GIUGNO
Memoria del nostro santo padre Onofrio 
(IV-V sec.),   

                                                                VESPRO
Al Signore, ho gridato, stichirá prosómia.
Tono pl. 4. O straordinario prodigio!
Padre Onofrio di mente divina, * ora che mi trovo nella desolazione delle passioni, * guidami con la tua interces¬sione * sulla retta via delle virtú, * verso il cammino della conversione, * verso il compi¬mento dei voleri di Dio, * verso l’inesauribile godimento di ogni bene, * affinché io festeggi con gioia, * o celebratissimo, * la tua memoria.
Padre Onofrio di mente divina, * hai sopportato il gelo della notte * e il calore del giorno * per la speranza, o venerabile, * delle realtà future: * mortificando infatti le tue membra appartenenti alla terra˚, * hai ottenuto la vita celeste, * entrando nel talamo, o santo, * per contemplare pieno di gioia * l’inconcepibile bellezza del tuo Creatore.
Padre Onofrio di mente divina, * lasciata la confusione mondana, * sei stato innalzato * alle piú sublimi altezze ultramondane, * e avendo amato la sorgente stessa del bene, * hai raggiunto ciò che realmente è desiderabile: * acceso dai suoi fulgori, o beato, * strappaci con la tua intercessione, * alla caligine dei peccati.
Gloria. Tono pl. 2.
Padre santo, * per tutta la terra è uscita la voce˚ * delle tue belle azioni: * per questo nei cieli * hai trovato la ricompensa delle tue fatiche. * Hai annientato le falangi dei demoni, * hai raggiunto le schiere degli angeli, * di cui, irreprensibile, hai emulato la vita. * Poiché hai dunque confidenza col Signore, * supplicalo con fervore per le anime nostre.      
Ora e sempre. Della festa.
Allo stico, stichirá prosómia. Tono 4. Hai dato come segno.
Bramando la beatitudine * che oltrepassa l’intelletto, o uomo meraviglioso, * hai considerato delizia la continenza, * ricchezza la povertà, * vera abbondanza l’indigenza * e gloria la modestia: * hai perciò ottenuto ciò a cui la tua volontà aspirava, * e ora dimori, Onofrio, * negli atri dei santi.
Stico: Preziosa davanti al Signore la morte del suo santo.
Hai compiuto senza volgerti * la corsa dell’ascesi * e hai custodito la fede: * per questo hai anche ottenuto la corona della giustizia, * o padre, * che Cristo ti aveva preparata, * lui che distribuisce i trofei secondo il merito˚ * ed elargisce i premi * e la ricompensa delle fatiche: * supplicalo ora * perché ci liberi dai pericoli.       
Stico: Beato l’uomo che teme il Signore: nei suoi comandamenti porrà tutto il suo diletto.
Hai rifiutato ogni voluttà, * reprimendo il tuo corpo, o sapiente in Dio˚, * amareggiando i sensi * con le fatiche e le durezze della continenza, * con la pazienza nelle tentazioni * e la costanza nelle difficoltà; * per questo hai ricevuto in cambio * il diletto che non ha fine, * l’eterna delizia * e la gioia indicibile.  
Gloria. Tono pl 4.
Noi, folle di monaci, * ti onoriamo come guida, Onofrio, * perché grazie a te abbiamo imparato * a camminare per la via veramente retta. * Beato sei tu che hai servito Cristo * e hai trionfato della potenza del nemico˚, * o compagno degli angeli, * consorte dei santi e dei giusti: * insieme a loro intercedi presso il Signore, * perché sia fatta misericordia * alle anime nostre. 
Ora e sempre. Della festa.
Apolytíkion. Tono 1.
Cittadino del deserto, * angelo in un corpo * e taumaturgo ti sei mostrato, * Onofrio, padre nostro teòforo. * Con digiuno, veglia e preghiera * hai ricevuto celesti carismi * e guarisci i malati * e le anime di quanti a te accorrono con fede. * Gloria a colui che ti ha dato forza; * gloria a colui che ti ha incoronato; * gloria a colui che per mezzo tuo * opera guarigioni in tutti.

                                                                 ORTHROS

Kondákion. Tono pl. 4. Accolta in cuore la fede di Cristo.
Accolta in cuore * la celeste luce intelligibile, * sei divenuto, Onofrio, * tabernacolo dell’immacolata Triade, * e ora all’unisono con gli angeli acclami: * Alleluia.
Altro kondákion per entrambi i santi.
Tono pl.4. A te conduttrice di schiere.
Celebriamo Onofrio insieme a Pietro * come colonizzatori del deserto * protési verso il cielo * e ricettacoli di doni oltre natura: * l’uno è apparso in Egitto quale palma fruttifera, * l’altro ha brillato sull’Athos come angelo. * Ad essi diciamo: * Gioite, ispirati da Dio.
Ikos. Tu solo sei immortale.
O carità, luce fulgidissima! * O ricapitolazione di tutte le virtú!˚ * Tu che sempre colmi le celesti schiere * di letizia e di grazia, * tu che hai abitato nei santi patriarchi, * nei profeti e negli apostoli! * Per le loro preghiere, * anche in noi prendi dimora, * affinché con loro a Dio cantiamo: * Alleluia.
Sinassario.
Il 12 di questo stesso mese, memoria del nostro santo padre Onofrio l’egiziano.
Lo stesso giorno memoria del nostro santo padre Pietro dell’Athos.
Per la loro santa intercessione, o Cristo Dio, abbi pietà di noi e salvaci. Amen.
Exapostilárion. Sotto gli occhi dei tuoi discepoli.
La tua vita sublime * è per i monaci * norma di per¬-
                        fettissima pietà: * tu infatti, fervente nel pensiero, * usando la bilancia della discrezione, * fai sí, Onofrio, * che essi proceda¬no con pieno convincimento.
Alle lodi, 3 stichirá prosómia, ripetendo il primo.
Tono pl. 4. O straordinario prodigio!
Padre Onofrio di mente divina, * divenuto imitatore
            del sole, * ti sei allontanato con lo spirito dalla confusione del mondo, * rinnegando gli appetiti della carne; * e abitando gioioso nel deserto, o beato, * hai dato alla tua anima * ali verso il cielo, * e là hai chiaramente ottenuto la citta¬dinanza˚.
Santo padre Onofrio, * resa piú che mai sacra la tua anima * con un sentire conforme a Dio, * hai sopportato tenta¬zioni, * con la forza della fede divina; * e unen¬doti a Dio con la carità, * hai preso dimora nella terra dei miti˚, * splendente per i fulgori delle virtú: * noi dunque festeg¬giamo lieti * la tua memoria.     
Beatissimo padre Onofrio, * ricevuti dal cielo * quei doni che trascendono l’intelletto, * piamente hai comuni¬cato a chi lo desiderava, * o felicissimo, * le caratte¬ristiche della tua ascesi, * e hai udito la voce bene¬detta, * entrando nel talamo˚: * là ora tu ti aggiri * presso il trono del Re dell’universo, * o degno di ammira¬zione.    
Gloria. Tono 2.
Hai voluto contemplare, o teòforo, * la soavità del Signore˚ * e hai desiderato vivere solo con lui solo. * Perciò fuggendo hai abbandonato il mondo, * per abitare tra deserti e monti˚. * Rivestito di Cristo, * non ti davi cura della tunica, * per guadagnarti la tunica dell’impassibilità: * con essa sei entrato nel celeste talamo, * dove esulti in eterno, Onofrio venerabile.
 Ora e sempre. Della festa.
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12 giugno 2014 
 Memoria di  Sant' Onofrio Eremita
VITA

Etimologia: Deriva dal latino Omuphrius, tratto dal copto Uenofre, significa
Martirologio Romano: In Egitto, sant’Onofrio, anacoreta, che visse piamente per sessant’anni nelle vastità del deserto.
  Pafnuzio, monaco in Egitto nel V secolo, desideroso di incontrare gli anacoreti del deserto, per conoscere la loro vita e la loro esperienza eremitica, di cui tanto si parlava in quel tempo e in quella zona, si inoltrò dunque nel deserto alla loro ricerca.
Dopo due tappe fatte in 21 giorni, sfinito si accasciò a terra; vide allora apparire una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia.
Questo abbigliamento era solito negli anacoreti, che abituati a star soli e visti solo dagli angeli, alla fine facevano a meno di un indumento difficile a procurarsi o a sostituire lì nel deserto.
Inizialmente spaventato, Pafnuzio cercò di scappare, ma la figura umana lo chiamò dicendogli di restare, allora egli capì di aver trovato chi cercava, era un anacoreta. Stabilitasi una fiducia reciproca, cominciarono le confidenze, l’eremita disse di chiamarsi Onofrio e stava nel deserto da 70 anni e di non aver mai più visto anima viva, si nutriva di erbe e si riposava nelle caverne; ma inizialmente non fu così, aveva vissuto in un monastero della Tebaide a Ermopolis, insieme ad un centinaio di monaci.
Ma desideroso di una vita più solitaria sull’esempio di s. Giovanni Battista e del profeta Elia, lasciò il monastero per dedicarsi alla vita eremitica; inoltratosi nella zona desertica con pochi viveri, dopo alcuni giorni incontrò in una grotta un altro eremita, cui chiese di iniziarlo a quella vita così particolare.
L’eremita l’accontentò e poi lo accompagnò in un posto che era un’oasi con palmizi, stette con lui trenta giorni e poi lo lasciò solo, ritornandosene alla sua caverna. Una volta l’anno l’eremita lo raggiungeva per fargli visita e confortarlo, ma in una di queste visite, appena arrivato si inchinò per salutare e si accasciò morendo; pieno di tristezza Onofrio lo seppellì in un luogo vicino al suo ritiro.
Onofrio poi racconta a Pafnuzio di come si adattava al cambio delle stagioni, di come resisteva alle intemperie e di come si sosteneva, un angelo provvedeva quotidianamente al suo nutrimento, lo stesso angelo la domenica gli portava la s. Comunione. Il miracolo dell’angelo fu visto pure da Pafnuzio che Onofrio condusse al suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi.
Continuarono le loro conversazioni spirituali finché il santo anacoreta disse: “Dio ti ha inviato qui perché tu dia al mio corpo conveniente sepoltura, poiché sono giunto alla fine della mia vita terrena”. Pafnuzio propose ad Onofrio di prendere il suo posto, ma l’eremita rispose che non era questa la volontà di Dio, egli doveva ritornare in Egitto e raccontare ciò di cui era stato testimone.
Dopo averlo benedetto si inginocchiò in preghiera e morì; Pafnuzio ricopertolo con parte della sua tunica, lo seppellì in un anfratto della roccia. Prima che egli partisse, una frana ridusse in rovina la caverna di Onofrio, abbattendo anche i palmizi, segno della volontà di Dio, che in quel posto nessun altro sarebbe vissuto come eremita.
La ‘Vita’ scritta da Pafnuzio, è nota anche in diverse recensioni orientali, greca, copta, armena, araba; essa ci presenta in effetti un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo, una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto.
Indipendentemente dalla esistenza storica di Onofrio, la ‘Vita’ greca di Pafnuzio si conclude dicendo che il santo eremita, morì un 11 giugno, comunque s. Onofrio è celebrato il 12 giugno nei sinassari bizantini. Antonio, arcivescovo di Novgorod riferisce che ai suoi tempi (1200) la testa di Onofrio era conservata nella chiesa di S. Acindino.
Il suo culto e il suo ricordo fu esteso in tutti i Paesi dell’Asia Minore e in Egitto, tutti i calendari di queste regioni lo riportano chi al 10, chi all’11, chi al 12 giugno; in arabo è l’Abü Nufar, (l’erbivoro), qualifica che gli si adatta perfettamente.
L’immagine di s. Onofrio anacoreta nudo, ricoperto dei soli capelli, fu oggetto della rappresentazione figurata nell’arte, in tutti i secoli, arricchita dei tanti particolari narrati, il perizoma di foglie, il cammello, il teschio, la croce, l’ostia con il calice, l’angelo.

Il nome Onofrio è di origine egizio e significa ‘che è sempre felice’. In Egitto era un appellativo di Osiride.

lunedì 9 giugno 2014

           9 GIUGNO 2014 
                            LUNEDÍ DOPO PENTECOSTE



                                                  Sinassario :
Lo stesso giorno, lunedí dopo la pentecoste, si festeggia il santissimo Spirito vivificante e onnipotente, Uno della Triade, Dio, consustanziale al Padre e al Figlio, pari nell’onore e nella gloria.
ORTHROS
Dopo il Benedetto, si dice il Gloria a te, o Dio. Re celeste. Trisagio, ecc. L’exápsalmos come di consueto. A Il Signore è Dio, l’apolytíkion, 3 volte, come sopra al vespro. E il salterio.
Dopo la seconda sticología, káthisma.
Tono 4. Restò attonito Giuseppe.
Celebriamo con gioia, o fedeli, * questa festa che vie-ne dopo le altre * e tutte le conclude: * la pentecoste, * il compimento della promessa e del tempo stabilito˚, * perché in essa il fuoco del Paraclito è sceso sulla terra, * sotto l’aspet¬to di lingue, * ha illuminato i discepoli * e li ha resi celesti iniziati. * È giunta la luce del Paraclito * e il mondo ha illuminato. 2 volte.
Dopo la seconda sticología, káthisma. Stessa melodia.
La sorgente dello Spirito, * scendendo sui figli della terra, * dividendosi in fiumi di fuoco˚, * ha spiritual¬mente irrorato i discepoli con la sua luce; * il fuoco è divenuto per loro nube rugiadosa, * fiamma che li illumina * e si effonde in pioggia: * è cosí che noi riceviamo la grazia, * mediante il fuoco e l’acqua˚. * È giunta la luce del Paraclito * e il mondo ha illuminato. 2 volte.
Il salmo 50 ed entrambi i canoni della festa, come ieri, senza stichi, pp.  524-525. Per le katavasíe, solo Colui che aveva la lingua inceppata.
Káthisma. Tono pl. 4. Ineffabilmente concepita in grembo.
Il santissimo Spirito * sceso ora sugli apostoli in forma di fuoco, * ha riempito di stupore le folle delle genti: * infatti, mentre essi parlavano con lingue di fuoco, * o amico degli uomini, * ciascuno udiva il proprio dialetto. * Perciò il prodigio era inteso come ubriachezza * da parte di chi non credeva, * ma come salvezza dai credenti. * Noi glorifichiamo per questo il tuo potere, * o Cristo Dio, * chiedendoti di mandare copiosa * la remissione delle colpe sui tuoi servi. 2 volte.
Kondákion. Tono pl. 4.
Quando discese a confondere le lingue, * l’Altissimo divise le genti; * quando distribuí le lingue di fuoco, * convocò tutti all’unità. * E noi glorifichiamo ad una sola voce * lo Spirito tutto santo.
Ikos. Poema di Romano.
Da’ conforto pronto e stabile, * o Gesú, ai servi tuoi, * quando gli spiriti nostri sono prostrati. * Dalle anime nostre, * nelle tribolazioni non separarti; * dai nostri cuori, * nelle avversità non allontanarti: * ma previenici sempre. * Avvicí-nati a noi, avvicínati, * tu che ovunque sei. * Come stavi sempre insieme ai tuoi apostoli, * cosí unisciti anche a quelli che ti amano, * o pietoso, * affinché, a te uniti, * noi celebriamo e glorifichiamo * lo Spirito tuo tutto santo.
Sinassario del minéo, poi quanto segue:
Lo stesso giorno, lunedí dopo la pentecoste, si festeggia il santissimo Spirito vivificante e onnipotente, Uno della Triade, Dio, consustanziale al Padre e al Figlio, pari nell’onore e nella gloria.
Stichi.
Tutto ciò che ha respiro, glorifica lo Spirito del Signore,
grazie al quale si dileguano le audacie degli spiriti cattivi.
Con la venuta del santo Spirito, per l’intercessione dei tuoi apostoli, o Cristo Dio, abbi pietà di noi. Amen.
Exapostilárion. Tono 3. Tu che il cielo con le stelle.
O Spirito santissimo che procedi dal Padre * e trami-te il Figlio * ti sei fatto presente nei discepoli illetterati, * salva quanti ti riconoscono come Dio * e santifica tutti. 2 volte.
Altro exapostilárion, stessa melodia.
Luce è il Padre, * luce il Verbo, * luce il santo Spirito, *  che è stato mandato sugli apostoli * in lingue di fuoco: * grazie a lui tutto il mondo è illuminato * per render culto alla Triade santa.
Alle lodi, 6 stichi e i seguenti stichirá idiómela, ripetendoli due volte.
Tono 2.
Con i profeti ci hai annunciato la via della salvezza, * e con gli apostoli, o Salvatore nostro, * è rifulsa la grazia del tuo Spirito. * Tu sei il nostro Dio, * sei Dio prima, * Dio dopo, * e per i secoli ˚.  
Nei tuoi atrii inneggerò a te, * Salvatore del mondo, * e adorerò in ginocchio la tua invitta potenza˚: * la sera, al mattino, a mezzogiorno˚ * e in ogni tempo, * ti benedirò, Signore.
Nei tuoi atrii, Signore, * piegando le ginocchia del corpo e dell’anima, * noi fedeli cantiamo a te, * Padre che non hai avuto principio, * al Figlio, come te senza principio, * e al santissimo Spirito a te coeterno * che illumina e santifica le anime nostre.
Gloria. Ora e sempre. Tono pl. 4.
Un tempo si confusero le lingue * per l’audacia che spinse a costruire la torre˚, * ma ora le lingue sono riempite di sapienza * per la gloria della scienza divina. * Là, Dio condannò gli empi per la loro colpa, * qui il Cristo illumina i pescatori con lo Spirito. * Allora si produsse come castigo l’impossibilità di parlarsi, * adesso si inaugura la concorde sinfonia delle voci * per la salvezza delle anime nostre.     congedo:
Colui che dai cieli ha inviato, in forma di lingue di fuoco, il santissimo Spirito sui suoi santi discepoli e apostoli, Cristo, vero Dio nostro...

domenica 8 giugno 2014

Parkalesia 
te 
SHPIRTIT SHEJT


E PARA PARKALESI
Sac. I dëlir, i papërlyem, i pa-zënë fill, i pa-parshëm, i pa-ndëlguashëm, i pa-gjëndshëm, i pa-ndërruashëm, i papërsh-krushëm, i pa-maturshëm, çë duròn të keqen Zot, i vetëmi çë ka pavdekjen, çë rri në dritë të pakjasurshme; ti çë bëre qielljën e dheun dhe dejtin e gjithë çëdò kle krijuar ndër ata; ti çë fal çëdò të lipjën më para se të t’luten; të lutemi e të parkalesiëm Tij, o Zot njerìdashës, të Jatin e t’yn’Zoti Perëndì e Shpëtuesi i ynë Jisù Krishti, i çili për ne njerëzë e për shëndetën t’ënë u sdryp nga qiellja e mori mishë paj të Shpirtit Shejt e të Mërìs povirgjëra, e lëvduashmja Mëma e t’yn’Zoti; i çili, më para tue mësuar me të fola e pastaj tue na dëftuar me të bëma, kur duroi vuajtiet shpëtimtare, na dha shembërë neve të mjerë të mëkatruamë e të pavëjéfshmë shërbëtorë tatë çë të faljëm lutje, tue ujur qafën e glunjët, për mëkatët tona e për ato të padijtura e popullit.Prandai ti, o Zot shum i lipisiar e dashamirë, gjegjëna neve çë në çëdò ditë priremi tek ti, e sidomos te këjo ditë e Pendekostes tek e çila ditë pas çë Jisù Krishti Zoti, u ngjip në qìell, dhe u uj te ana e dërejtë e të Jatit Perëndì, dërgo mbi shejtit Apostoj e xënësë të tij Shpirtin Shejt; i çili edhe u sdryp mbi çë-njérin e i mbushi të gjithë me të pa-mbrazëshim Hir i  tij e folën ata me gluhë të ndrishme mbi madhërìt tote e profetuan.
Nanì neve çë të lutemi gjegjëna e kujtona neve të mjerë e të dënuamë e prirë robërìn e shpirtravet tanë,  tue pasur dhëmbëshurit tote çë luten për ne. Pritna mirë neve çë të biem te këmbët e të thërresjëm tue thënë: mëkatruam!
Tek ti jemi hjidhurë nga prëhri,  nga gjiri i Mëmës sënë. Perëndia ynë je ti.; po, porsanith kemi shkuar ditët tona në kotësira, u shveshëm nga ndihma jote e na lipset çëdò mbrojtje. Tue pasur besë te dhënbëshurit tote, na tij të thërresjëm: mëkatët e djalërìs tënë e të padjiturat mos kujtò. Pastrona neve nga të fshehurat tona. Mos na përzé nanì çë jemi në qëro pleqërije; nanì çë na lan fuqìt, mos na le ti;
më para se të priremi përsërì te bota, bëjna të mirë të priremi tek ti e vërna ‘re me mirëdashje e me hir. Paligjësìt tona mati me lipisìt tote e mëkatët ona humbi te honi i mëshirit tënt.
Prej lartësit të shejtit tënt, o i Madhi yn’Zot, prir siun tënt mbi popullin çë ke këtu reth e çë rri e pret burìn e lipisìs t’ënde.
Ruajna me ëmbëlsirën tënde; lirona nga pushteti i të mallkuamit; ruaj gjellën tënë me të shejtet ligjë tote. Vër mbi popullin t’ënt një Engjëll besnik t’e ruanjë; gjithë ne pran na mbëjeth te rregjëria jote; fal ndëjésë atyreve çë shpresojën tek ti; ndëjéj atyreve e edhe neve fajet; pastrona me energjin e Shpirtit tënt; shkatërrò gënjimet e armikut kundra nesh

 Sac.:Immacolato, incontaminato, senza principio, invisibile, incomprensibile, imperscrutabile, immutabile, insuperabile, incommensurabile, paziente Signore: tu che solo possiedi l’immortalità e abiti la luce inaccessibile; tu che hai fatto il cielo, la terra e il mare e tutte le opere che sono in essi; tu che adempi le preghiere di tutti prima che siano formulate: noi ti preghiamo e ti supplichiamo, o Sovrano amico degli uomini, Padre del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesú Cristo, che per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso dai cieli, si è incarnato per virtú dello Spirito santo da Maria, la sempre Vergine e gloriosa Madre di Dio; egli, insegnando prima con le parole, e dimostrandolo poi con le opere, quando si sottopose alla passione salvifica, lasciò un esempio a noi miseri, peccatori e indegni suoi servi , perché offrissimo suppliche, piegando il collo e le ginoc­chia, per i nostri peccati e per i peccati inconsapevoli del popolo.
Tu dunque, misericordiosissimo e amico degli uomini, ascoltaci nel giorno in cui ti invochiamo, particolarmente in questo giorno di pentecoste, nel quale, il Signore nostro Gesú Cristo, dopo essere asceso ai cieli ed essersi assiso alla destra di Dio Padre, ha mandato lo  Spirito Santo sui suoi santi discepoli e apostoli. Egli si è posato su ciascuno di loro e li ha riempiti tutti della sua grazia inesauribile, ed essi hanno cominciato a proclamare in altre lingue le meraviglie di Dio e a profetare.
Or dunque, noi ti preghiamo, ascoltaci, e ricòrdati di noi miseri e colpevoli, e fa’ tornare dalla prigionia le nostre anime, perché intercede per noi la tua stessa compassione. Accoglici, mentre ci prostriamo e gridia­mo: Abbiamo peccato.
Verso te siamo rivolti sin dal grembo, dal seno di nostra madre, Dio nostro tu sei: ma, siccome i nostri giorni sono trascorsi nella vanità, siamo stati spogliati del tuo aiuto, siamo privi di ogni difesa.
Confidando tuttavia nella tua pietà, noi gridiamo: non ricordare il peccato della nostra giovinezza e le nostre ignoranze; purificaci dalle nostre colpe nascoste; non respingerci nel tempo della vecchiaia, al venir meno della nostra forza, non ci abbandonare; prima di farci tornare alla terra, dacci di convertirci a te, e guardaci con benevolenza e grazia. Misura le nostre iniquità col metro della tua pietà; opponi l’abisso della tua multiforme pietà alla moltitudine delle nostre colpe. Guarda, Signore, dall’alto del tuo santuario sul tuo popolo che ti circonda e attende da te la tua copiosa misericordia: visitaci nella tua benevolenza; liberaci dalla tirannia del diavolo; rendi sicura la nostra vita con le tue sante e sacre leggi. Affida il tuo popolo a un fedele angelo custode; raccoglici tutti nel tuo regno; dona il perdono a quanti sperano in te; condona a loro e a noi i peccati; purificaci con l’operazione del tuo  Spirito Santo; sventa le macchinazioni del nemico contro di noi.
  KATËRTA PARKALESI  
O Perëndì  i Mathë dhe i pasosëm, i shejt e njeridashës, çë na bëre të mirë edhe te këjo herë të t’rrim përpara të paqjasurshmes lëvdì sate sa të këndojëm dhe himnojëm famasmët tote, ijna afër neve të pavëjefshmë shërbëtorë tatë e ipna hir sa të t’faliëm me zëmërë të prerë e të përunjurë një dhoksolojì trishejte e falnderimin për të mëdhat dhurata tote çë na bëre e çë na bën përherë.
Kujtò, i Madh’yn’Zot, ligështìt tona e mos na sbier për paligjësìt tona, po përdorë lipisin tënde të madhe me mjerësin tënë sa, tue jikur nga errësira e mëkatës, të jeciëm në dritë drejtësije të rrethuarë me brezin e dritës e të vazhdojëm pa klënë shkundur nga ngariet e të ligut, me guxìm të t’lëvdojëm tij mbi gjithë shërbiset, tij të vetmin Perëndì njeridashës.
Pse yti isht me të vërtetë, o Zot i gjithësìs e Krijues, misteri i mathë i sglidhjes të përkohëshme të krijesavet tote dhe bashkë-lidhja e pastajme dhe prëhia për jetë. Tij të haristisjëm për të gjitha, për të jardhurit tanë te këjo jetë si për të dalit i çili, për të taksurën e vërtet, na dhe të kishëm shprësën tënë te ngjallja e te gjella e pangarshme;  çë do t’trazhgojëm pas çë të vish pameta.
Se ti do t’jesh i të ngjallurit tanë krietari, i të gjallvet gjykëtari i pa-anëshëm te veprat e gjellës e njeridashës   e Dhespot e Zot çë do t’na japësh shpërblim. Ti deshe të kishe, për të madhen mirësi, përsbashku me ne gjithënjë mishë e një gjak dhe passionët të paturpshme, tue lënë t’ishe ngar nga ato si na, tue pasur kështu vërteta mëshir zëmrje, për ne kurdoherë tue u bër gati të na ndihie te ngarjet tona. Kështu na vëre në pjesë edhè neve te zotërimi yt i passionëvet.
Prit mirë nanì ti lutjet e parkalesìt tona e jip prëhie  atëravet, mëmavet, bijvet, vëllezërvet e motravet të nga njeriu e kujdo  gjëri e krushk e gjithë ata çë ndërruan jetë me shpresën e të ngjallurit në gjellë të pasosme.
Shkruaj te libri i gjellës emret e tyre e shpirtrat e tyre vëri në gji t’Avraamit, Isakut e Jakobit te dheu i të gjallëvet, te rregjëria e qielljavet, te dhrosìt e Parraisit tue na sjell të gjithë me të shkëlqyemit Ëngjëj tatë te të shejtet prëhie tote;  edhé tue bashk ngjallur kurmet tanë te dita ngah ti e tsaktuame me shejten e vërtetë të taksur. Kështu ngë ë vdekjie për shërbëtorët tatë kur lën kurmet e tyre, e të vijën tek ti Perëndi, po vetëm një të shkuar nga hjidhërime në të mira e gëzime, prëhie dhe haré. E megjithëse na kemi mëkatruar kundra teje, ijna afër neve dhe atyreve; pse mosnjerì isht i pastër nga çëdò ngjolle përpara teje , edhé të ket klënë njëi ditje gjella e tij, se po ti je i vetëmi, çë u duke mbi dheun i pa-mëkatë, i  Zoti  ynë Jisu Krishti, paj të çilit gjithë shpresojëm lipisì e ndëjesën e mëkatëvet. Prandai neve e atyreve, si Perëndì i mirë e njeridashës, hilqëna, ndëjéna, falna fajet tanë, të bëra tue dashur e pa dashur, tue dijtur e pa dijtur, të dukura e të fshehura, me tru, me gojë e me të bëma, me të folët, me gjithë të sjellurit e lëvizje.  E atyreve çë na shkuan dhuroi lirimin e ngushëllimin, e neve çë na ke këtu përpara bekona tue dhënë neve e gjithë popullit tënt, të kemi një të sosur të mirë, në paqe,  e neve na sbyll zëmrën tënde e mëshirplotë te dita e tmerrshme dhe e dreruashme të të jardhurit tat tue na bër të denj te rregjëria jote.
QUARTA PREGHIERA
O Dio grande ed eterno, santo e amico degli uomini,
tu che ci hai fatti degni di stare in quest’ora al cospetto della tua inaccessibile gloria per cantare e lodare le tue meraviglie, sii propizio a noi, indegni tuoi servi, e concedici la grazia di offrirti con cuore contrito, liberi da distrazioni la dossologia del trisagio e il rendimento di grazie per i grandi doni che ci hai fatto e che sempre ci fai. Ricòrdati, Signore, della nostra debolezza e non permettere che ci perdiamo per le nostre iniquità, ma usa
la tua grande misericordia con la nostra piccolezza: affinché noi, fuggendo il buio del peccato, camminiamo nel giorno della giustizia e, rivestíti delle armi della luce, giungiamo al termine senza essere insidiati da alcuna insolenza del maligno, e con franchezza rendiamo per tutto gloria a te, solo Dio vero e amico degli uomini.
È infatti un tuo mistero in verità davvero grande, o Sovrano di tutti e Creatore, questo temporaneo dissol­versi delle tue creature, che in seguito di nuovo si ricompongono e in eterno riposano. Per tutto ti rendiamo grazie: per il nostro ingresso in questo mondo e per il nostro esodo da esso, che, in virtú della tua verace promessa, ci induce a sperare la risurrezione e la vita intatta: possiamo noi goderne al tuo secondo futuro avvento. Perché tu sei anche l’autore della nostra risurrezione, giudice imparziale e amico degli uomini per ciò che riguarda le azioni della vita, Sovrano e Signore della ricompensa, tu che, similmente a noi, hai partecipato di carne e sangue, nella tua somma condiscendenza, e delle nostre passioni non colpevoli, sottomettendoti volontariamente alla tentazione, rivestendoti di viscere di compassione, divenendo spontanea­mente nostro aiuto nelle tentazioni, in forza di ciò che hai sofferto venendo tu stesso tentato. È cosí che hai condotto anche noi alla tua stessa impassibilità.
Ricevi dunque, o Sovrano, le nostre preghiere e suppliche, dà riposo al padre, alla madre, ai fratelli, alle sorelle e ai figli di ciascuno, e a qualunque altro parente o congiunto, e a tutte le anime che già riposano in attesa della risurrezione per la vita eterna. Colloca i loro spiriti e i loro nomi nel libro della vita, nel seno di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nella regione dei viventi, nel regno dei cieli, nel paradiso di delizie, introducendole tutte, tramite i tuoi angeli luminosi, nelle tue sante dimore. Risuscita anche i nostri corpi nel giorno da te stabilito, secondo le tue sante e veraci promesse. Non vi è dunque morte, Signore, per noi tuoi servi alla dipartita dal corpo per venire a te, o Dio: è piuttosto il passaggio dalle sofferenze alla dolcezza, alla felicità, un passaggio al riposo e alla gioia.
E se anche abbiamo peccato contro di te, sii propizio tanto a noi quanto a loro: perché nessuno è puro da macchia davanti a te, nemmeno se la sua vita fosse di un giorno, perché tu solo sulla terra sei apparso senza peccato, o Signore nostro Gesú Cristo, e grazie a te tutti speriamo di ottenere misericordia e remissione dei peccati. Perciò, tu che sei Dio buono e amico degli uomini, condona, assolvi, perdona, a noi e a loro tutte le nostre colpe, volontarie o involontarie, conosciute e sconosciute, manifeste e nascoste, in opere, pensieri o parole, in qualsiasi nostro comportamento e movimento. A quanti ci hanno preceduti dona liberazione e sollievo; a noi qui presenti, da’ la tua benedizione, elar­gendo a noi e a tutto il tuo popolo una fine buona, nella pace. E alla tua tremenda e terribile venuta, dischiudi per noi viscere di misericordia e di amore per gli uomini, e facci degni del tuo regno.