domenica 1 febbraio 2015

2 Febbraio 2015
Festa dell’incontro (Hypapandì)
Presentazione di Nostro Signore Gesù Cristo al Tempio






         



           Sembra che la festa dell’Incontro abbia avuto origine nella Chiesa di Gerusalemme a partire dal IV secolo. La prima testimonianza che si ha a riguarda viene riportata dalla pellegrina Egeria nel suo Diario di Viaggio, in cui si legge che la memoria veniva celebrata il quarantesimo giorno dopo l’Epifania, cioè il 14 febbraio. Un’altra testimonianza del VI secolo, del Patriarca di Antiochia, Severo, attesta che la festa si celebrava nelle Chiese di Palestina e a Costantinopoli, dove era stata introdotta da poco. Dunque, si può affermare che la Presentazione era festeggiata in tutta la parte orientale dell’impero tra la fine del V secolo e l’inizio del VI.
         Nella cronaca di Teofanie si legge che nell’ottobre del 534 una pestilenza colpì Costantinopoli ed in seguito alla sua cessazione l’imperatore Giustiniano ordinò che la festa si celebrasse nella capitale ed in tutto l’impero il 2 febbraio. Tuttavia, sembra più esatto attribuire la causa dello spostamento di data della commemorazione della festa, dal 14 al 2 febbraio, all’affermazione a Costantinopoli della solennità del Natale al 25 dicembre. Infatti, secondo le prescrizioni del libro del Levitico il bambino doveva essere offerto al 40.mo giorno dalla nascita, per cui se il Natale era festeggiato il 6 gennaio, la Presentazione doveva cadere inevitabilmente il 14 febbraio; se invece la nascita viene arretrata al 25 dicembre il 40.mo giorno cade il 2 febbraio.
         A Roma la festa fu introdotta da papa Sergio I (687-701), un italo-siro proveniente dalla Sicilia. Per alcuni studiosi la festa fu adottata a Roma per soppiantare qualche ricorrenza pagana, quale, quella dei Lupercali o quella della ricerca di Proserpina da parte della madre Cerere.
         La Chiesa bizantina ha conferito alla festa della Presentazione un nome significativo, Hypapandì, cioè Incontro tra l’uomo vecchio e quello nuovo, tra Dio e l’uomo. In tutto questo vi è un motivo di fondo che è il fatto di aver voluto porre l’accento sull’incontro tra Gesù con il vecchio giusto Simeone, piuttosto che sottolineare il motivo della Purificazione della Vergine  e dell’offerta del  Bambino al Tempio. Questi temi pur essendo presenti nell’omiletica e nell’innografia, tuttavia lo sono in tono minore rispetto all’episodio dell’Incontro con Simeone.
         La scelta non è casuale, ma si riferisce alla spiritualità dell’Oriente. Infatti, sebbene, la festa fosse celebrata a Costantinopoli fin dal 602 nella chiesa della Vergine Blacherne, non ha mai assunto significato di ricorrenza mariana come, invece, è accaduto in Occidente, (Candelora), bensì è stata annoverata sempre tra le feste del Signore (despòtiche).
         L’episodio dell’incontro è descritto nella pericope evangelica che si legge nella Divina Liturgia tratta dal Vangelo di Luca cap. 2 versetti 22-40: “Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il Bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni primogenito maschio sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o do giovani colombe, come prescrive la Legge del Signore. Ora, a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era su di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso, dunque, dallo Spirito, si recò al Tempio; e mentre i genitori vi portavano il Bambino Gesù per adempiere la legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: <>. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: <>. C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni da quando era ragazza, era poi rimasta  vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era sopra di Lui”.

         Il testo inizia con l’adempimento del precetto sui primogeniti maschi. Secondo il libro del Levitico spettava alla madre adempiere i precetti sul suo neonato, così che alla fine di questi ella poteva rientrare nell’assemblea liturgica del popolo di Dio. Dopo 40 giorni dal parto, la madre doveva presentarsi al santuario per offrire al Signore il sacrificio per mezzo del sacerdote. Questo consisteva in un agnello e una colomba o una tortora. Se era povera offriva due colombe o due tortore, una per l’olocausto al Signore (segno di lode e di grazia), e l’altro per il sacrificio di purificazione. Dopo questo la donna poteva essere riammessa nella purità rituale, altrimenti avrebbe reso impuro tutto ciò che avrebbe toccato. Quindi Maria esegue quanto prescritto dalla legge. È necessario ritenere due elementi: i genitori portano il bambino per farlo presentare in segno di consacrazione al Signore, questo sottolinea il sacrificio permanente con cui il Figlio si dona alla comunione d’amore con il Padre. In secondo luogo si mette in evidenza la povertà dei genitori che offrono con tutto il cuore tutto ciò che hanno: due piccoli uccelli, innocenti e puri.
         La presentazione di Gesù al tempio rappresenta anche l’incontro di Dio con il suo popolo rappresentato qui dal vecchio Simeone, un uomo giusto e pio che come tanti altri ebrei attendeva la consolazione d’Israele. Quest’attesa era guidata e consolata dallo Spirito Santo che stava su di lui, e che gli aveva comunicato che non sarebbe morto se non dopo aver visto il Messia, ossia il Salvatore del suo popolo. Simeone guidato dallo Spirito riconosce nel Bambino il Messia d’Israele, il Figlio diletto venuto a riscattare il debito e restituire all’uomo l’antica dignità. Privilegiando quest’aspetto dell’Incontro la Chiesa bizantina ha voluto porre un accento particolare sull’ineffabile atto d’amore che il Signore ha compiuto a favore della sua “immagine”. Egli si è incarnato e per amore è apparso uomo, per attirare a sé come uomo l’umanità. Il Signore Onnipotente, però, si è presentato come umile servitore, perché l’uomo non rimanesse sbigottito di fronte alla Sua maestà infinita e sentisse la propria fragilità ed impurità, ma come Simeone gli corresse incontro e, tenendolo tra le braccia, potesse sperimentare tutta la sua confidenza. Ciò vuole, dunque, significare che ogni uomo è Simeone, ed in qualsiasi momento può incontrare il Signore, riceverlo nelle proprie mani accostandosi all’Eucaristia. Tutto questo segna il passaggio dalla Legge alla fede come dice S. Paola nella lettera ai Galati: “Prima che venisse la fede, eravamo chiusi sotto la custodia della Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è come un pedagogo che ci ha condotti a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Ma quando è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi, infatti, siete figli di Dio per la pace in Gesù Cristo, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo”.







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